Non chiamarli “quadri”!
Guardare dentro, nel pozzo del proprio mondo interiore, un universo che sembra avere il vuoto dello spazio cosmico, dove l’assenza di aria non permette il trasporto delle onde sonore, fili intrecciati di una trama che formano parole, discorsi.
La Visione arriva all’improvviso
La visione si accende di una intermittenza continua.
Ad ogni lampo compaiono colori diversi, nuovi particolari, simboli all’apparenza indecifrabili, una sorta di Epifania che, finché non diventa corpo sulla tela, inaspettata mi cattura in diversi momenti della giornata.
Nulla a che vedere con il sogno a occhi aperti, o con le visioni mistiche raccontate da Santi o Illuminati.
Arriva così all’improvviso, mentre guido, tra le righe di una pagina, quando ascolto qualcuno parlare.
Una presenza sottile e silente, che si affaccia tra le pieghe della mente parlando un linguaggio sconosciuto alla ragione.
Mi accorgo che se tendo l’orecchio dell’intelletto non la sento, se osservo con gli occhi del raziocinio scompare.
La sento quando non la vedo, la vedo quando non la guardo, si tratta di uno sguardo socchiuso o con la coda dell’occhio dell’anima.
Un procedere che non conduce alla conoscenza, ma alla visione manifesta di una verità che risuona anche nell’emotività di chi la guarda.
Un cammino sganciato dal piano della sensibilità, eppure è nel farsi materia che riesco a liberarmi dall’ossessione di quei continui solleciti visionari.
Le categorie tipiche della conoscenza e della vita che siamo soliti definire reale e concreta, e cioè lo spazio e il tempo, sono sospesi nel processo creativo.
Forse è più giusto dire che la mia percezione dello spazio e del tempo è messa fra parentesi, in una sorta di epoche che permette di giungere all’essenza attraverso la dimensione della penombra rispetto a quella della chiarezza.
L’intuizione “oscura” di Bergson
Nella visione interiore entra in gioco l’intuizione, si presenta come un’esperienza semplice, come può essere l’esperienza immediata di un contatto e ad essa si accompagna il sentimento illuminante di una indubitabile presenza.
L’intuizione ha certamente una sua intrinseca evidenza, che non è quella distinta e chiara tanto cara a Cartesio. È più vicina all’intuizione di Bergson, che la definisce “oscura”. Oscura per coloro che non vi siano pervenuti personalmente e anche per quelli a cui si cerchi di spiegarla, ma lo è anche per chi, pur sperimentandone la presenza, non riesce ancora ad afferrarne i precisi contorni.
Anima, corpo e tela
Nell’istante in cui i colori toccano la tela, tutta me stessa, anima e corpo, si impasta con loro, sento sulla pelle e nel cuore la loro consistenza, l’alternarsi di fluido e denso, il loro miscuglio fa comparire impreviste sfumature che virando rivelano nuove forme.
Sperimento uno stato di coscienza elevato, lo definirei stato di grazia, il manifestarsi dell’eternità nella presenza, nell’essere qui ed ora.
Il solo attivarsi del gesto del dipingere allenta l’identificazione con i miei processi mentali ed emotivi, con il fare in generale e mi accende l’esperienza della consapevolezza e della presenza, ovvero di quel fare nello stare, o meglio di quel fare che sorge dallo stare. Affondo il pennello in una parte nascosta della mia anima, percorrendo sentieri inesplorati, dove la visione razionale ha scarse possibilità di accesso.
Affidandosi e lasciandomi guidare dall’intuito, attraverso la pittura, la creazione scaturisce da quelle pieghe dell’anima, che assomigliano ai chiari del bosco della Zambrano: un luogo intatto che sembra essersi aperto solo in quell’istante e che mai più si darà così.
Eludere la mente
Dipingere in questo modo mi dà la possibilità di eludere le trappole auto sabotanti del pensiero e superare condizionamenti e strutture mentali, lasciando così emergere e respirare la mia parte più intima e profonda, che nel pensiero razionale e nelle parole della ragione spesso affoga.
Attraverso forme e colori racconto ciò che con le parole non sono in grado di esprimere, do voce a quelle parti di me alle quali raramente concedo di manifestarsi.
Si tratta di un viaggio emozionante dentro me stessa, una profonda esperienza che mi permette sia di sentire la voce dell’Anima che di manifestarla.
Carl Gustav Jung: l’inconscio si esprime per immagini
Come diceva Carl Gustav Jung, l’inconscio si esprime per immagini e l’arte è il fantastico ponte di collegamento con la nostra dimensione interiore.
Il mezzo per attraversare quel ponte per me è la pittura, lo strumento più potente per ricontattare lo straordinario mondo che sento dentro di me.
Considerato il processo creativo nei termini sopra esposti allora il risultato finale non è più soggetto alle categorie puramente estetiche che si muovono nel dualismo bello/brutto, armonico/disarmonico, giusto/sbagliato, ma diventa manifestazione tangibile di una Verità intima che richiama e fa sorgere in chi la guarda un pezzetto della propria Verità.
Allora non chiamarli quadri!